Nutrire il suolo per avere cibo sicuro

di Fabio Massi

Di fronte a un futuro di crescenti esigenze alimentari è essenziale preservare la produttività dei terreni agricoli e l’industria italiana in questo ha un ruolo all’avanguardia.

Il suolo è la nostra risorsa più preziosa da cui dipende la vita di tutti e dell’intero pianeta. Oltre il 95% della produzione mondiale di cibo, infatti, proviene direttamente o indirettamente dalla terra, sulla quale abita più del 90% di tutte le varietà degli organismi viventi del globo. Allo stesso tempo, però, il suolo è una ricchezza molto fragile, la cui sopravvivenza è continuamente minacciata da fenomeni di inquinamento, cementificazione ed erosione, causati per lo più dalle attività umane. Basti pensare che un terzo dei terreni mondiali è interessato da gravi limitazioni per la produzione di alimenti, mentre nei Paesi industrializzati le terre destinate all’agricoltura sono sempre più esigue.

Per tutte queste ragioni, sono in aumento le iniziative di istituzioni e associazioni ambientaliste per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza del suolo e della sua salubrità, mentre il mondo scientifico e della ricerca negli ultimi anni sta promuovendo una gestione maggiormente sostenibile della fertilizzazione dei terreni agricoli, anche in ottica di sicurezza alimentare. I fertilizzanti, infatti, rappresentano uno strumento fondamentale per il suolo che, con il passare del tempo, tende a impoverirsi rendendo sempre più difficoltosa la nutrizione delle piante: i concimi, perciò, riescono a fornire il giusto mix degli elementi nutritivi principali (azoto, fosforo, potassio), secondari (calcio, magnesio, sodio, zolfo) e dei microelementi (zinco, rame, ferro, manganese, boro, molibdeno, cobalto), preservando, reintegrando o aumentando la fertilità del terreno. A condizione, però, che se ne faccia un utilizzo razionale e calibrato privilegiando i concimi a basso impatto ambientale, poiché soltanto un suolo nutrito in maniera sana può produrre un cibo sicuro e di qualità.

Quello dei fertilizzanti nel nostro Paese è un settore piuttosto in salute con un fatturato di circa un miliardo di euro. Negli ultimi anni, il trend a livello produttivo è stato piuttosto stabile e ha evidenziato una certa linearità con oscillazioni marginali sul 2%, sia in positivo sia in negativo. Nel complesso, il sistema agricolo nazionale – secondo i dati forniti dall’Associazione nazionale produttori di fertilizzanti (Assofertilizzanti-Federchimica) – utilizza 4,5 milioni di tonnellate di concimi all’anno, di cui circa il 68% nelle regioni del Nord, il 14% al Centro e il 18% al Sud. Tra i vari segmenti in cui si divide il mercato dei fertilizzanti sono le cosiddette “commodities” (essenzialmente i concimi minerali) a essere più diffuse con circa 2 milioni di tonnellate, pari a una quota in volumi di circa il 60% del totale. Crescono molto i concimi organici e organico-minerali la cui produzione si aggira sulle 600.000 tonnellate e vede le industrie italiane in una posizione di leadership mondiale. Da sottolineare l’andamento della categoria dei biostimolanti, prodotti molto innovativi per i quali non ci sono ancora dati ufficiali, ma che stanno rivestendo un ruolo sempre più importante e che sono il frutto di ingenti investimenti in ricerca e sviluppo da parte delle imprese del settore.

«Il messaggio che vorrei far passare è che bisogna prima di tutto nutrire il suolo – afferma Anna Benedetti, direttore incaricato del Centro per lo studio delle relazioni tra pianta e suolo (Rps) del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (Crea) – perché se non andiamo a supportare le colture agrarie, soprattutto quelle intensive, andremo certamente incontro a un depauperamento della fertilità e a un impoverimento del terreno, fino alla sua totale perdita. Da un lato, abbiamo la necessità di intensificare le produzioni, perché, come ci dice la Fao, con l’aumento della popolazione mondiale da qui al 2050 i raccolti agricoli dovranno essere incrementati del 60% rispetto ai quantitativi attuali e del 100% nei Paesi in via di sviluppo. Dall’altro, non abbiamo più terreni disponibili e quelli che possono essere ancora coltivati sono affetti da una quantità enorme di limitazioni, che se non vengono debitamente corrette con i mezzi tecnici a disposizione continuano a precludere produzioni sane e salubri con tutti gli elementi nutritivi equilibrati». In effetti, bisogna considerare che fra 30 anni la popolazione mondiale passerà dagli attuali 7,7 ai 9,7 miliardi di persone, perciò la domanda di cibo aumenterà considerevolmente. Già oggi circa 800 milioni di persone soffrono la fame, mentre i cambiamenti climatici in atto stanno mettendo a rischio l’agricoltura, gli allevamenti e la pesca in tutti i continenti.

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