Le Olimpiadi tornano a casa

di Fabio Massi

Mancano due mesi all’evento sportivo più importante dell’anno. Le Olimpiadi tornano nella loro patria d’origine per un’edizione che, nelle promesse, dovrà essere spettacolare e senza precedenti, ma che, per ora, crea solo preoccupazioni per il ritardo dei lavori ad Atene e per la delicata situazione internazionale.

Oltre 65.000 nuovi posti di lavoro permanenti, 120 km di nuove autostrade e miglioramenti su altri 90 km, un aeroporto internazionale nuovo di zecca intitolato al pioniere delle riforme sociali e celebre diplomatico Eleftherios Venizelos, una rete metropolitana rimodernata e ampliata, 32 km di ferrovia periferica, 24 km di rete tranviaria, un avveniristico centro per la gestione del traffico cittadino. E ancora: nuovi complessi sportivi e ricreativi in tutto il Paese, parcheggi, zone pedonali, 290.000 alberi piantati, 11 milioni tra cespugli e aiuole. Sono questi i numeri e gli aspetti che meglio di ogni altra cosa riescono a spiegare perché, oltre al prestigio internazionale, è importante per una città ospitare un’olimpiade. Sono passati diversi anni da quel 5 settembre 1997, quando Atene, durante la 106ª sessione del Comitato Olimpico Internazionale svolta a Losanna, in Svizzera, strappava a Roma, Stoccolma, Città del Capo e Buenos Aires l’organizzazione delle XXVIII Olimpiadi moderne, che si svolgeranno nella capitale greca dal 13 al 29 agosto prossimi.

Nonostante il comitato organizzatore greco abbia avuto quasi sette anni per preparare l’evento più importante della storia del Paese, sono molti gli interrogativi incalzanti che si rincorrono da settimane sullo stato dei lavori per la messa a punto degli impianti sportivi e delle strutture che ospiteranno le gare e gli atleti olimpici. A metà dello scorso marzo, infatti, un preoccupato Jacques Rogge, presidente belga del CIO (Comitato Olimpico Internazionale), si è recato ad Atene per ascoltare dalla viva voce del premier Kostas Karamanlis la reale situazione organizzativa, considerati i numerosi impegni disattesi. Il primo ministro ellenico, appena insediatosi alla guida dell’esecutivo in seguito alla vittoria sul centrosinistra che ha governato per 11 anni, ha fatto di tutto per rassicurare Rogge, sponsor, televisioni e tutti coloro il cui immediato futuro economico dipende strettamente dal buon esito dei Giochi di Atene 2004, ma allo stesso tempo ha nominato la viceministro della Cultura Fani Palli-Petralia nuova responsabile della preparazione olimpica e ha esortato Gianna Anghelopoulos Deskalaki e Dora Bakoianni, rispettivamente presidente del comitato organizzatore e sindaco di Atene, affinché sia fatto l’impossibile.

Dei 30 impianti da costruire ex novo o da ristrutturare, 13 sono stati ultimati e collaudati, 8 sono sottoposti a verifiche strutturali, mentre 9 hanno bisogno ancora di qualche intervento più o meno importante, come nel caso della piscina olimpica, la cui copertura è tutta da realizzare perché il disegno originario è stato abbandonato. Ma il vero incubo che impedisce sogni tranquilli a Karamanlis e agli organizzatori ellenici è lo stadio olimpico. La nascente struttura sarà (o sarebbe stata) il nuovo simbolo di Atene grazie al progetto in grande stile dell’architetto spagnolo Santiago Calatrava, che prevede una copertura ad archi con elementi in acciaio e in vetroresina, ma la cui sistemazione è in forte ritardo, tanto da farne temere l’abbandono. I preparativi per questa estate hanno visto anche punte d’eccellenza, come per la costruzione del nuovo stadio Karaiskakis. La “casa” della squadra di calcio ateniese dell’Olympiakos, infatti, era stato completamente raso al suolo soltanto sei mesi fa ed è stato ricostruito a tempo di record.

Ad Atene, nonostante i ritardi e le difficoltà organizzative, regna l’ottimismo e assicurano che tutto sarà pronto per la cerimonia d’apertura del 13 agosto e che questi saranno i Giochi più indimenticabili della storia. In effetti, un primo saggio della magia olimpica ellenica si è già visto lo scorso 25 marzo, in coincidenza con la festa dell’indipendenza greca, quando ha avuto luogo nel tempio di Era, a Olimpia (nei pressi della capitale), l’emozionante cerimonia dell’accensione della fiamma olimpica davanti a 30.000 persone e con imponenti misure di sicurezza. Come vuole la tradizione, il braciere è stato acceso soltanto con l’ausilio dei raggi solari riflettenti su uno specchio convesso, con il benestare di Apollo, il dio del Sole, invocato dalle sacerdotesse di Febo. Poi la fiaccola è stata affidata al primo tedoforo, l’ex campione del mondo di giavellotto, il greco Kostas Gatsioudis, il quale inizierà la catena che porterà, unica volta nella storia, la fiamma olimpica a visitare i cinque continenti rappresentati dagli anelli disegnati sulla bandiera dei Giochi, attraverso ben 33 città, Roma compresa (il 28 giugno).

Tutta l’attenzione, quindi, sarà concentrata su quei sospirati 16 giorni, in cui 10.500 atleti si sfideranno in 28 discipline sportive in 38 impianti, avranno luogo 301 cerimonie di premiazione con medaglie, 21.500 addetti riprenderanno e racconteranno tutte le emozioni delle gare (16.000 per le emittenti televisive e 5.500 tra carta stampata e fotoreporter), 60.000 volontari di ogni età ed estrazione sociale provenienti da ogni parte del mondo saranno impiegati nella manutenzione degli impianti sportivi, nella supervisione degli eventi, nell’accoglienza degli spettatori e degli atleti, nella logistica, nei trasporti, nel catering, nella sicurezza delle strutture, nell’amministrazione, nelle attività di biglietteria. Un interessante primato fatto registrare da questa Olimpiade riguarda i Paesi partecipanti, che saranno 202, tre in più dell’edizione scorsa a Sidney: ad Atene 2004, infatti, parteciperanno anche Afghanistan, Timor Est e Kiribati. Mentre per la nazione centroasiatica si tratta di una riammissione alla famiglia olimpica in seguito alla recente caduta del governo talebano, i due piccoli arcipelaghi sono novità assolute.

Le Olimpiadi della paura
Il compito più difficile della macchina organizzativa di Atene 2004 è allontanare dall’animo di atleti, spettatori, giornalisti, turisti e di tutto coloro che seguiranno per passione o per lavoro le gare sportive, la paura di possibili attentati terroristici, assicurando che l’Olimpiade non si svolgerà in una città militarizzata. Tuttavia, a giudicare dall’entità dei preparativi, come le recenti esercitazioni militari chiamate “Aspis Irakleous” (Scudo di Ercole) che hanno coinvolto 1.500 persone, il clima olimpico sarà a dir poco teso. La Grecia ha stanziato 650 milioni di euro per la sicurezza (il triplo dell’edizione di Sidney 2000) e, durante i 16 giorni dei Giochi, saranno impegnati circa 45.000 uomini, di cui 25.000 poliziotti, 7.000 militari, 3.000 guardie costiere, 1.500 vigili del fuoco, 3.500 vigilantes privati e 5.000 volontari. Inoltre, la Nato ha concesso lo spiegamento dei propri mezzi per la sorveglianza degli spazi aerei e marittimi, ed è stata coinvolta persino l’AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) che ha garantito personale specializzato ed equipaggiamento antiradioattivo.

Un vero affare
A parte l’indubbio fascino che riescono ancora a generare, le Olimpiadi sono soprattutto un affare per la città che le organizza. È stato stimato che i Giochi di Sidney del 2000 porteranno circa 6,5 miliardi di dollari al prodotto interno lordo australiano e 100.000 nuovi posti di lavoro nell’arco di 12 anni (1994-2006). Inoltre, nel corso del 2000 l’Australia ha visto un incremento turistico dell’11% e fino al 2006 sono previsti circa un milione e mezzo di visitatori che genereranno quasi tre miliardi di dollari di introiti. I Giochi di Atlanta nel 1996 hanno portato 5,1 miliardi di dollari all’economia dello Stato della Georgia, di cui più della metà derivati dal settore turistico. Prima del 1992 Barcellona, che in quell’anno ha ospitato le Olimpiadi, era al 16° posto nella graduatoria delle destinazioni turistiche europee più popolari, dal 1999 è salita alla terza posizione. I Giochi di Barcellona hanno portato all’economia spagnola circa 16,6 miliardi di dollari dal 1986 al 1993, e hanno determinato un drastico calo del tasso di disoccupazione nella città catalana, dal 18,4% al 9,6%. Inoltre, le migliorie apportate alle infrastrutture urbane hanno fatto diminuire il traffico cittadino di oltre il 15%.