A lezione da Frank O. Gehry

di Fabio Massi

Uno degli architetti più famosi del mondo, sicuramente il più riconoscibile attraverso il suo stile, Frank O. Gehry è stato protagonista di un incontro con gli studenti di architettura che si è svolto lo scorso 23 maggio nella Casa dell’Architettura in Roma. Il settantaseienne progettista canadese, californiano di adozione, era nella Capitale con la moglie per una visita privata, ma l’Università “La Sapienza” non si è fatta sfuggire la ghiotta occasione e lo ha coinvolto in una lezione, seppur breve, affollata da universitari e architetti, alla presenza di Mario Docci presidente del Collegio dei Direttori di Dipartimento dell’ateneo romano, Lester Little direttore dell’American Accademy in Rome, Alberto Ronzi di Italcementi e Amedeo Schiattarella presidente dell’Ordine degli Architetti PPC di Roma.

L’autore del Museo Guggenheim di Bilbao ha parlato della Capitale, della prudenza che serve a chi vuole costruire nel centro storico, dei suoi monumenti preferiti e ha spronato gli addetti ai lavori affinché Roma non si rassegni a essere città-museo. «Innanzitutto l’architettura deve coinvolgere – afferma Gehry – deve dare qualcosa. Deve stabilire un feeling con chi ne fruisce. Io dico: deve portare un sorriso dove arriva. Penso a Bilbao, dove la gente è contenta di vedere quel mio lavoro che è riuscito a catalizzare l’attenzione dell’intera città. L’architetto deve tentare di mantenere il sentimento della sua opera nel tempo, proiettarlo nel futuro. Ci deve provare». Secondo il progettista americano, in Europa c’è una solida tradizione di pianificazione urbana e ci sono infrastrutture rigide. «Ci sono stati re e dittatori che potevano decidere come fare una città – continua Gehry – anche se ciò che ha prodotto il Fascismo in questo campo non mi piace affatto. Per un architetto è più frustrante, e in Italia i problemi sono ancora maggiori: troppi vincoli, troppa burocrazia. Ma qui a Roma, per esempio, credo che sia meglio lasciarsi andare: forse non è così importante costruire un edificio. È meglio pensare a vivere bene».

A proposito della Capitale, quando gli viene chiesto di indicare il edificio preferito Gehry risponde: «Ieri ho visitato la chiesa di Sant’Andrea delle Fratte, un capolavoro. Ma dallo studio del sindaco Veltroni ho goduto della vista dei Fori: fantastico. Anche il Pantheon mi piace, ha una struttura forte». Il progettista americano ha uno stile molto riconoscibile, divenuto perfino popolare, ma quando gli viene fatto notare precisa: «Da quando progetto non mi sono mai, dico mai, ripetuto. E Picasso, così riconoscibile, lo ha mai fatto? E Matisse? E Goya? Con questo non voglio paragonarmi a loro. Chi pensa che io mi ripeta non ha studiato i miei edifici, è un “illetterato”».