Il vantaggio della R&S

di Fabio Massi

Da uno studio realizzato da Booz Allen Hamilton emerge che nel 2004 la spesa complessiva in innovazione tecnologica delle 1.000 aziende “top spender” è stata di 384 miliardi di dollari, con un tasso annuo di crescita del 6,5% dal 1999, salito all’11% dal 2002. Le prime 20 aziende investono insieme oltre 111 miliardi di dollari o il 28% della spesa complessiva in R&S, mentre nelle prime 100 si concentra il 64% del totale.

Per decenni nel mondo dell’industria e dell’imprenditoria internazionale si è radicata la convinzione secondo la quale un cospicuo dispendio di investimenti indirizzati nel settore della ricerca e sviluppo si tradurrebbe in un vantaggio competitivo sul mercato. Tale convincimento appare oggi ancora più solido, basta sfogliare qualsiasi quotidiano o rivista economica per trovare richiami ad aumentare la spesa in tecnologia e innovazione con l’obiettivo di migliorare non solo la competitività della singola azienda o di un certo comparto industriale, ma anche quella dell’intero sistema Paese, una necessità resa quantomai impellente dalla rapidissima ascesa di nazioni emergenti come Cina e India.

Tuttavia, secondo un recente studio effettuato da Booz Allen Hamilton – una delle più importanti e più antiche società internazionali di consulenza strategica, manageriale e tecnologica che attualmente conta in tutto il mondo più di 14.000 collaboratori e un centinaio di uffici e filiali in oltre 70 Paesi – questo assioma poteva essere valido in passato, quando i beni di consumo erano più semplici, i processi industriali meno sviluppati, la competizione meno agguerrita e le aziende, perciò, avevano la capacità di realizzare nuovi prodotti con la convinzione che i consumatori quasi certamente li avrebbero acquistati. Oggi il mondo è cambiato radicalmente, si consuma tutto più in fretta, i cicli di vita dei prodotti sono divenuti estremamente brevi e le richieste dei consumatori sempre più complesse, e si è generato un flusso di nuove offerte più veloce che mai. Una struttura innovativa dinamica ed efficace, perciò, può fare la differenza nel mercato odierno, ma, per garantirsi un simile strumento, alle aziende non è sufficiente investire ingenti risorse economiche, occorre implementare altri fattori non prettamente monetari, come identificare le aree del proprio processo produttivo in cui è necessario effettuare miglioramenti prioritari, e soprattutto la capacità di innovare, in altre parole la strategia con cui un’azienda crea, seleziona, sviluppa e commercializza idee.

Proprio con l’obiettivo di comprendere meglio in che modo le aziende sono in grado di massimizzare i loro ritorni sugli investimenti in innovazione tecnologica Booz Allen Hamilton ha realizzato uno studio intitolato “Global Innovation 1.000. Money Isn’t Everything” sulle 1.000 aziende, in tutto il mondo, che nel 2004 hanno effettuato i maggiori investimenti in R&S. Per garantire una migliore affidabilità dei dati, gli autori della ricerca – Barry Jaruzelski, Kevin Dehoff e Rakesh Bordia – si sono concentrati sulle società quotate in borsa, classificate in base alla loro spesa in R&S registrata nei loro rapporti finanziari del 2004 (di conseguenza sono state escluse sia le aziende a capitale privato così come le società per azioni che non hanno reso pubblici i propri investimenti in R&S) e in base ai settori industriali indicati da Bloomberg e alle aree regionali che ospitano le sedi dei quartieri generali di ciascuna azienda. Dallo studio emerge che nel 2004 la spesa complessiva in innovazione tecnologica delle 1.000 aziende “top spender” è stata di 384 miliardi di dollari, con un tasso annuo di crescita del 6,5% dal 1999, salito all’11% dal 2002.

Si tratta di una spesa altamente concentrata se si pensa che le prime 2.000 società in investimenti in R&S, sempre nel 2004, hanno impegnato 410 miliardi di dollari, cioè soltanto 26 miliardi o il 6,5% in più rispetto alle 1.000 top spender, nelle quali si stima si concentri l’80-90% della spesa complessiva in R&S di tutto il mondo imprenditoriale e circa il 60% considerando anche la spesa effettuata da governi e istituzioni pubbliche. L’entità degli investimenti in innovazione tecnologica varia molto tra parte alta e parte bassa della lista delle 1.000 imprese oggetto dello studio: si va da un massimo di 7,8 miliardi di dollari di Microsoft (al 1° posto) a un minimo di 39 milioni di dollari di McCormick & Company (1.000°). Inoltre, le prime 20 aziende – perlopiù nordamericane ed europee, quattro giapponesi e una coreana (Samsung) – investono insieme oltre 111 miliardi di dollari o il 28% della spesa complessiva in R&S, mentre nelle prime 100 si concentra il 64% del totale. Altre differenze sostanziali si riscontrano analizzando i diversi settori industriali e le regioni geografiche.

Ad esempio, le aziende appartenenti ai tre comparti computer-elettronica, farmaceutica e auto nel 2004 hanno investito in R&S 244,8 miliardi di dollari, cioè il 64% (rispettivamente 25%, 21% e 18%) della spesa complessiva delle 1.000 imprese campione, mentre i rimanenti 139,2 miliardi sono stati spesi più o meno equamente dagli altri otto settori industriali. Negli ultimi cinque anni i comparti software-Internet e farmaceutica hanno evidenziato i maggiori tassi annui di crescita nella spesa in innovazione, rispettivamente con il 15% e il 12,4%, mentre le telecomunicazioni (2,2%) e la chimica-energia (1,4%) hanno avuto lo sviluppo più lento. Per ciò che concerne il dato della spesa in R&S disaggregato per aree geografiche, il 96,8% delle 1.000 top spender ha il proprio quartier generale in Nord America, Europa o Giappone, e si tratta di realtà che quasi certamente rimarranno dominanti nel prossimo futuro, anche se altre imprese in Cina, India e nel resto del mondo stanno aumentando il volume dei propri investimenti. Nel 2004 le aziende dislocate in Nord America hanno investito 168,4 miliardi di dollari (43,9%), quelle in Europa 110,9 miliardi (28,9%), quelle in Giappone 92,2 miliardi (24%), quelle nel resto del mondo 12,5 miliardi (3,2%) di cui 1,4 miliardi (0,3%) da imprese cinesi e indiane.

Perciò è chiaro che la stragrande maggioranza della spesa in R&S si concentra nelle zone più industrializzate, tuttavia i tassi di crescita più alti si registrano nelle aree in via di sviluppo: se dal 1999 al 2004, infatti, le aziende nordamericane hanno realizzato un aumento annuo di spesa in innovazione tecnologica del 6,6%, le europee del 6,2% e le giapponesi del 4,8%, le imprese cinesi e indiane hanno realizzato una percentuale del 21,1% e quelle del resto del mondo (Corea del Sud, Australia, Taiwan, Brasile, Sudafrica e Singapore) addirittura del 36,7%. Questo enorme dispendio di risorse finanziarie, tuttavia, non costituisce una garanzia di successo per le aziende e dai dati della ricerca non sembra esserci una relazione diretta tra i livelli di spesa in R&S e i risultati economici e le performance delle singole imprese. Per approfondire tale questione Booz Allen Hamilton ha utilizzato come termine di paragone per le 1.000 top spender la percentuale di spesa in R&S in rapporto alle vendite, un indicatore che rivela l’importanza relativa dell’innovazione nei differenti settori industriali – le società farmaceutiche sicuramente spendono in R&S una percentuale dei ricavi maggiore rispetto alle società di servizi – ed elimina anche ogni distorsione legata alle dimensioni aziendali: ad esempio Intel (al 12° posto nella lista delle top 1.000) spende 80 volte di più di Cymer (766°) ma entrambe hanno un indice spesa in R&S/vendite del 14%; Ford (3°) spende 130 volte di più di Nissin Kogyo (790°) ma il loro indice è identico (4,3%).

Entrando più nel dettaglio vediamo che il valore medio del rapporto spesa in R&S/vendite tra le 1.000 top spender è del 4,2%, una percentuale che è rimasta praticamente stabile negli ultimi cinque anni, oscillando dal 4 al 4,4%, e ancora più stabile nell’ultimo triennio, oscillando tra il 4,2 e il 4,4%. Tuttavia emergono rilevanti difformità sia tra i diversi settori industriali sia tra imprese all’interno dello stesso comparto. Si va infatti dal 12,7% del software-Internet all’1,5% della chimica-energia, dall’11,2% della farmaceutica all’1,9% delle telecomunicazioni. Inoltre, le prime 20 aziende della lista – appartenenti soprattutto ai settori della farmaceutica e dei computer – hanno realizzato un indice medio (6,8%) quasi doppio rispetto a quello delle altre 980 imprese (3,6%), ma con differenze sostanziali che vedono Microsoft (1°) condurre con il 21%, seguito da Merck (20°) con il 18%, da Roche Holding (19°) con il 17%, da Pfizer (2°) e da Novartis (18°) entrambe con il 15%, fino ad arrivare al 4% di Ford (3°), DaimlerChrysler (4°), Toyota (5°) e Volkswagen (13°) e al 3% di General Motors (6°).

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