Sicurezza alimentare senza frontiere

di Fabio Massi

Sussiste tuttora un’eccessiva disomogeneità di leggi e codici in fatto di garanzia sui prodotti food nel loro rapporto con il consumatore. Ma finalmente la Iso 22000 si è prefissa di fare chiarezza.

Negli ultimi anni si è verificato un significativo aumento di malattie originate da prodotti alimentari contaminati, sia tra i Paesi più industrializzati sia tra quelli emergenti e in via di sviluppo: basti pensare alla Bse, alla presenza di diossina nelle carni avicole o all’influenza aviaria. L’ovvia conseguenza è stata una crescente crisi di sicurezza che ha coinvolto non soltanto i consumatori, ma anche le istituzioni e tutti gli operatori della filiera agroalimentare. I prodotti giungono sulle tavole della gente attraverso catene di distribuzione che vedono il coinvolgimento di differenti tipi di organizzazioni e il passaggio di numerose frontiere, un solo anello debole di questa catena può perciò costituire un pericolo per la salute dei consumatori, ma anche un considerevole fardello economico per l’intera società civile dovuto alle spese per cure mediche, alle assenze dal luogo di lavoro, ai costi assicurativi e ai rimborsi legali.

Tutto ciò è stato il motore dello sviluppo di norme nazionali per garantire la fornitura di alimenti sicuri, di regolamenti di aziende private e associazioni nel settore alimentare per controllare i propri fornitori, ma anche la causa del proliferare di normative e regole – si contano infatti più di 20 diversi schemi di verifica e controllo nel mondo – che possono generare livelli di sicurezza alimentare non uniformi, confusione sui requisiti, costi accresciuti e complicazioni per i fornitori che si trovavano obbligati a conformarsi a esigenze multiple. Il quadro normativo europeo sulla sicurezza alimentare, ad esempio, si snoda tra disposizioni generali, come il reg. n. 178/02 (General Food Law), e norme più specifiche, quali i reg. n. 1829 e 1830/03 sugli Ogm, la dir. 2003/89 sugli allergeni, i reg. n. 852, 853 e 854/04 sull’igiene, il reg. n. 1935/04 sui materiali a contatto o il reg. n. 183/05 sui mangimi. Nel resto del mondo, invece, si va dal “globale” Codex Alimentarius agli accordi Wto sui provvedimenti sanitari e fitosanitari, dai regolamenti americani Fda-Usda alla Food Sanitation Law del Giappone, dal codice congiunto Australia/Nuova Zelanda agli standard nazionali cinesi.

È per porre rimedio a tale disomogeneità che nel settembre del 2005 è nata la norma Iso 22000 sui sistemi di gestione della sicurezza agroalimentare, un documento che è il frutto del lavoro di un gruppo di esperti dell’industria alimentare e della salute pubblica provenienti da ben 23 Paesi, insieme a rappresentanti di organizzazioni a livello internazionale come la Commissione del Codex Alimentarius, la Confederazione delle Industrie agroalimentari dell’Unione europea (Ciaa), l’Organizzazione mondiale per la sicurezza alimentare (Wfso), l’Associazione internazionale degli hotel e dei ristoranti, l’Iniziativa mondiale per la sicurezza alimentare (Gfsi). Si tratta di uno standard volontario riconosciuto a livello mondiale che armonizza i requisiti per gestire in modo sistematico la sicurezza nella catena alimentare e che offre a tutte le aziende coinvolte nella filiera, indipendentemente dalla loro dimensione e complessità, una soluzione unificata di buona pratica per identificare i rischi cui sono esposte e per gestirli in maniera efficace. Come è stato sottolineato nel corso di un recente convegno organizzato a Roma dal Cermet – che ha visto confrontarsi sul tema della sicurezza alimentare autorità pubbliche, organismi di certificazione, associazioni industriali di produttori e distributori – la Iso 22000 prevede che il sistema aziendale debba essere in grado di valutare tutti i pericoli che possono manifestarsi lungo la filiera alimentare, tenendo in considerazione i processi che la caratterizzano, gli ambienti in cui essi si svolgono e tutti i componenti del sistema produttivo alimentare.

La nuova norma incorpora i principi per la salvaguardia dell’igiene e della sanità del cibo e ne facilita l’applicazione in tutto il mondo, indipendentemente dal Paese e dal prodotto, proponendo uno standard unico. È inoltre compatibile con altri modelli gestionali standardizzati – come le serie Iso 9000 e Iso 14000 – e consente di implementare sistemi integrati di qualità, ambiente e sicurezza alimentare a tutti gli operatori coinvolti in ogni aspetto del settore agroalimentare sia “food chain” (produzione mangimi, coltivazione, allevamento, commercio all’ingrosso e al dettaglio, catering e ristorazione) sia “near food” (produttori di pesticidi, fertilizzanti, medicinali veterinari per l’allevamento, ingredienti e additivi alimentari, prodotti di pulizia, impianti e attrezzature, imballaggi per alimenti, trasporto e stoccaggio di prodotti alimentari). Secondo Maria Severina Liberati, del Dipartimento Politiche di Sviluppo del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, «il quadro normativo deve far sì che i consumatori, gli altri soggetti interessati e le controparti commerciali abbiano fiducia nei processi decisionali alla base della legislazione alimentare, nel suo fondamento scientifico e nell’indipendenza delle istituzioni. È indispensabile, perciò, l’adozione di un’efficace regolamentazione in grado di fornire disposizioni chiare agli operatori lungo tutta la filiera agroalimentare e lo standard Iso 22000 può essere considerato uno strumento integrativo a tutte le normative quadro del legislatore a uso di ogni operatore del settore.

Trattandosi di una certificazione volontaria, la pubblica amministrazione dovrebbe semplificare e razionalizzare i passaggi burocratici e fiscali delle aziende per consentire loro di applicare più agevolmente tale strumento». Della necessità di uniformare il sistema della gestione della sicurezza alimentare è convinto anche Maurizio Ceci, membro del Comitato Nazionale Sicurezza Alimentare (Cnsa), il quale afferma che «oggi nel nostro Paese, oltre ai controlli a campione effettuati dal Ministero della Salute, è in vigore il meccanismo degli autocontrolli (Haccp), una pratica che richiede l’utilizzo di manuali i cui principi siano validi in ambito nazionale. Tuttavia di questi manuali ce ne sono troppi: ogni attore della filiera tende a realizzarne uno proprio (gdo, produttori ecc.). È necessario quindi uniformare tutto ciò e arginare lo sviluppo di questa “torre di Babele” sulla sicurezza alimentare, attraverso accordi di filiera e il lavoro congiunto di Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, Ministero della Salute e Regioni». La Iso 22000 si basa su alcuni elementi chiave riconosciuti a livello internazionale, il primo dei quali è costituito dalla comunicazione interattiva, un principio innovativo e fondamentale che definisce un flusso di informazioni strutturate sia verso l’interno che verso l’esterno dell’azienda, per assicurare che tutti i pericoli per la sicurezza degli alimenti siano identificati e siano adeguatamente controllati in ogni punto della filiera.

Altro elemento base è la gestione di un efficiente sistema di sicurezza igienica che permetta il controllo di tutte le interazioni tra i singoli elementi che costituiscono l’intero processo produttivo. Inoltre, il nuovo standard prevede la piena concordanza con i principi Haccp del Codex Alimentarius come metodologia di base per la pianificazione di processi produttivi sicuri e adatti a ogni singola azienda, a prescindere dal prodotto realizzato o dal servizio fornito. Viene rivolta particolare attenzione alla valutazione dei pericoli in termini di probabilità di insorgenza e di gravità dell’effetto negativo sulla salute del consumatore. Ultimo elemento chiave è il programma dei prerequisiti (Prp), cioè l’adozione attività di base che mirano alla sicurezza e alla manutenzione di un ambiente igienico idoneo per la produzione, la lavorazione e la fornitura di prodotti sicuri. Si tratta di operazioni che devono essere svolte in qualsiasi segmento della filiera agroalimentare e per questo si differenziano in buone pratiche di igiene (Ghp), di fabbricazione (Gmp), agricole (Gap), veterinarie (Gvp) e di distribuzione (Gdp). «I Prp possono essere generali o specifici per particolari prodotti o linee operative – spiega Clementina Clementi, responsabile Sviluppo Strategico Agroalimentare del Cermet – e devono essere approvati dal gruppo per la sicurezza, adeguati alla dimensione aziendale, al tipo di operazioni, alla natura dei prodotti, e per stabilirli si devono considerare alcuni importanti fattori, quali: gli edifici e la loro disposizione, la pulizia e la sanificazione, il controllo degli infestanti (pest control), l’igiene del personale, la prevenzione delle contaminazioni crociate, gli impianti e l’accessibilità per le pulizie, i servizi di supporto-rifiuti, i sistemi fognari-acqua e di energia».

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