Senza un buon imballaggio un prodotto può danneggiarsi o deteriorarsi, rendendo vano l’utilizzo di risorse naturali ed energetiche necessarie per la sua produzione e il suo trasporto fino al punto vendita. Grazie anche all’ausilio delle moderne tecnologie, sembra che per le aziende sia diventato molto importante creare e adottare imballaggi sempre più sostenibili, realizzati con materiali e processi in grado di rispettare l’ambiente e ridurre l’impatto degli scarti.
Quando si parla di imballaggio dei prodotti, in particolare per quelli di largo consumo, vengono in mente subito le funzioni principali, come la protezione della merce, la conservazione e la logistica. Senza un buon packaging, infatti, un prodotto può danneggiarsi durante il trasporto o deteriorarsi prima del previsto in un magazzino, rendendo vano l’utilizzo di risorse naturali ed energetiche necessarie per la sua produzione e per tutte quelle operazioni che conducono alla sua vendita. Secondo un recente studio realizzato da Ecr Europe, in Europa occidentale il 3% dei prodotti alimentari si deteriora prima di giungere al punto vendita e la quota sale fino al 50% nei Paesi in via di sviluppo. La Fao, inoltre, stima che nel 2011 circa un terzo degli alimenti prodotti per il consumo umano è andato sprecato, pari a 1,3 miliardi di tonnellate.
Il packaging è anche un formidabile strumento di marketing e comunicazione, in grado di amplificare l’appeal di un prodotto, di consentire un’adeguata presenza delle varie referenze sugli scaffali dei punti vendita o, ancora, di veicolare informazioni preziose per il consumatore sia imposte per legge sia per iniziativa delle imprese produttrici.
Da qualsiasi aspetto funzionale si voglia considerare l’imballaggio di un prodotto, però, è diventato sempre meno trascurabile il suo impatto sull’ecosistema, ecco perché è in aumento il numero delle aziende che impegnano ingenti risorse per creare packaging quanto più sostenibili, prodotti con materiali e processi in grado di rispettare l’ambiente e di ridurre i danni causati dagli scarti. In realtà, le aziende sono obbligate per legge a immettere sul mercato imballaggi recuperabili e di minimo impatto sull’ambiente, come espresso in maniera dettagliata dalla direttiva europea 94/62/Ce che, tra l’altro, prevede non soltanto i requisiti per la fabbricazione e la composizione degli imballaggi, ma anche le caratteristiche per il loro riutilizzo sotto forma di riciclo del materiale, recupero di energia, produzione di compost ecc.
Inoltre, si deve tenere presente che l’impegno da parte delle imprese produttrici per immettere sul mercato imballaggi sempre più “green” è anche il frutto di un nuovo atteggiamento dei consumatori, che sono diventati più informati e più maturi rispetto al passato, e si aspettano dalle aziende comportamenti corretti, anche in termini di ecosostenibilità.
Secondo una recente indagine realizzata dall’Istituto per gli studi della pubblica opinione (Ispo) per conto dell’Istituto italiano imballaggio, infatti, i consumatori del nostro Paese apprezzano un packaging amico dell’ambiente a patto che sia anche in grado di garantire igiene, qualità del prodotto, shelf life più lunga, protezione del contenuto, apporto informativo e facilità nell’uso. L’81% degli intervistati considera il settore degli imballaggi un comparto in continua evoluzione, capace di proporre nuove soluzioni, mentre per il 65% le confezioni cambiano per rispondere sempre meglio alle esigenze dei consumatori e il 21% ritiene che il packaging faciliti l’utilizzo del prodotto. Gli italiani preferiscono imballaggi a minore impatto ambientale, auspicando non soltanto packaging riciclabili, più leggeri e meno voluminosi, ma anche realizzati con materie prime provenienti da riciclo.
«L’obbligo, anche morale, di partecipare alla raccolta differenziata – afferma Giuseppe Scicchitano, packaging manager di Henkel Italia – ha creato i presupposti per un pubblico sempre più educato al rispetto dell’ambiente ed esigente quando si tratta di scelte al momento della spesa, specie per i beni di largo consumo. Credo proprio che i consumatori stiano imparando a “differenziare” le merci già all’atto dell’acquisto, per questo si cercano nel packaging quelle risposte che vanno oltre l’imballaggio. Da parte delle aziende, la leva della sostenibilità è già, e lo sarà sempre di più, una delle vie più immediate per catturare l’attenzione di una comunità che non vuole essere più soltanto “consumatore” ma “ricercatore” di nuovi stili di vita». I consumatori italiani, tuttavia, sembrano sottovalutare il packaging come fonte di inquinamento. Almeno stando ai risultati di una ricerca realizzata un paio di anni fa da Eurisko per il Consorzio nazionale recupero e riciclo degli imballaggi a base cellulosica (Comieco), dai quali emerge che la maggiore minaccia per l’ambiente è considerata dagli intervistati il traffico automobilistico (68%), quindi le scorie delle industrie (67%), i rifiuti solidi urbani (40%), i detersivi (32%), i concimi e diserbanti (23%), i rifiuti speciali (21%), i campi elettromagnetici (19%) e, solamente in ottava posizione, viene indicato l’eccessivo utilizzo degli imballaggi con il 16%.
Sempre dalla stessa indagine, inoltre, emerge che i consumatori prediligono i packaging di carta e cartone rispetto a quelli di altri materiali, perché sono considerati più semplici da smaltire e riciclare (61%), più accessibili in termini economici (55%) e più ecologici (47%). Secondo i dati raccolti da Europen – l’organizzazione europea che promuove tra le imprese industriali e commerciali lo sviluppo e l’utilizzo di packaging sostenibili per l’ambiente – nei dieci anni che vanno dal 1998 al 2008 in Europa la quantità di imballaggi immessa sul mercato è aumentata di oltre il 15%, passando da 63 a 72,5 milioni di tonnellate. Tra i Paesi con il maggior numero di tonnellate di packaging in circolazione nel 2008 c’era la Germania (13,5 milioni), la Francia (10,2 milioni), il Regno Unito (9,5 milioni) e l’Italia (9,4 milioni). Il nostro Paese – sempre nell’arco di quel decennio – ha fatto registrare una crescita annuale di circa 1,3 chilogrammi nel consumo pro capite di packaging, passando dai 191 chilogrammi del 1998 ai 204 del 2008. Più nel dettaglio, ogni italiano consuma all’anno circa 36 chilogrammi di imballaggi di vetro, 10 di metallo, 37 di plastica, 75 di carta e cartone, 46 di legno.
Nel 2010, secondo i dati raccolti dal Conai – il Consorzio nazionale imballaggi che garantisce il riciclo e il recupero dei materiali di imballaggio come acciaio, alluminio, carta, legno, plastica e vetro – in Italia sono state recuperate complessivamente circa 8,5 milioni di tonnellate di rifiuti di imballaggio, pari al 74,9% del totale immesso al consumo (oltre 11,3 milioni di tonnellate), mentre gli imballaggi riciclati hanno raggiunto il 64,6% (più di 7,3 milioni di tonnellate) del totale in circolazione sul mercato. In particolare, per gli imballaggi in alluminio avviati a riciclo è stato registrato un incremento record del 49% rispetto al 2009, per quelli in legno del 10,8% e per i contenitori in vetro dell’8%, mentre per gli altri materiali i risultati sono in leggera crescita o stabili.
L’impatto ambientale del packaging non dipende soltanto da quanto efficacemente – una volta smaltito – sarà recuperato e riutilizzato, ma anche dal modo in cui viene concepito e prodotto, in una logica cioè di prevenzione. Si tratta di una strategia che sta abbracciando un numero sempre maggiore di aziende, il cui impegno si traduce in un minor utilizzo di materie prime, nell’impiego di materiale riciclato o, più in generale, nell’adozione di sistemi di gestione ambientale e di certificazioni di qualità che permettono di ridurre l’impatto ambientale degli imballaggi prodotti o utilizzati.
«Il concetto di sostenibilità è molto ampio – afferma Lorena Ricci, responsabile acquisti di Grissin Bon – in attesa di avere dei materiali che possano essere completamente ecosostenibili, cioè in grado di rispettare l’ambiente in termini di biodegradabilità, che al momento sono soltanto in fase di sperimentazione, la nostra azienda si sta muovendo con un’analisi approfondita sui quantitativi di imballo utilizzati, impiegando anche materiali ad alta barriera (con costi più elevati) per mantenere la fragranza del prodotto con il minor dispendio di materiale possibile».
Nello scenario del largo consumo è di primaria importanza non soltanto consentire il riciclo degli imballaggi usati, ma soprattutto fare in modo che si producano meno confezioni e sempre più leggere ed ecosostenibili.
«Essendo promotori dell’innovazione del mondo delle farine sul mercato domestico – spiega Franco Accornero, direttore commerciale retail di Molino Spadoni – non abbiamo mai tradito la nostra tradizione mugnaia, risalente al XV secolo, ma abbiamo fatto di essa un perno strategico. Ne è un esempio lampante l’imballo, rigorosamente in sacchetto di carta preformato, che mantiene così in modo evidente il forte legame con le farine tradizionali. L’innovazione riguarda invece i prodotti: l’obiettivo aziendale è quello di proporre articoli via via più sani, puliti e sicuri. In questa direzione vorrei citare l’adesione dell’azienda al progetto Almaverde bio, nato per divulgare tramite massicce campagne d’informazione i vantaggi della produzione biologica al consumatore della distribuzione moderna, di cui siamo i referenti per il mercato dei cereali e dei loro derivati. Una referenza come la farina “00” Almaverde bio garantisce al consumatore un prodotto sano e sicuro in quanto biologico, in più confezionato con un materiale totalmente riciclabile e altamente ecocompatibile»…
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