Gusto italiano nella tazzina

di Fabio Massi

Il caffè nostrano rappresenta un’eccellenza nel mondo, ma non si deve dare nulla per scontato e lavorare sempre per ottenere la massima qualità. La materia prima rappresenta l’elemento fondamentale, ma il trasporto, la sua lavorazione e il confezionamento sono altrettanto importanti.

La tazzina di caffè è uno di quei simboli che racchiude tutta l’essenza del gusto italiano, frutto di esperienza, tecnica, conoscenza, ricerca. Per realizzare un prodotto eccellente occorre una materia prima con ottime proprietà organolettiche, un sistema di tostatura in grado di ottenere da ogni chicco il massimo in termini di note sensoriali, metodi e materiali di confezionamento capaci di preservare a lungo gli aromi del prodotto: la qualità del caffè è un traguardo molto complesso da raggiungere. Lo sanno bene le oltre 700 torrefazioni e i circa 7.000 addetti di una filiera che genera un giro d’affari alla produzione intorno ai 3,5 miliardi di euro, di cui circa 900 milioni di euro destinati all’esportazione.

Nel 2011, il volume delle importazioni di caffè verde in Italia è stato pari a quasi 7,8 milioni di sacchi, con un aumento dello 0,9% rispetto all’anno precedente. Il volume di caffè verde trasformato dalle aziende del nostro Paese si è attestato sui 7,6 milioni di sacchi, con un aumento dello 0,8% rispetto al 2010. Le esportazioni di caffè torrefatto hanno sfiorato i 2,6 milioni di sacchi equivalente verde, a conferma del crescente apprezzamento del caffè espresso italiano da parte dei mercati esteri che dura da diversi anni.
«Diffondere il caffè italiano nel mondo e valorizzare la specificità dell’espresso napoletano, l’unicità del suo sapore, della sua qualità e della sua tradizione, sono elementi fondamentali nella nostra mission – afferma Sergio Di Sabato, direttore marketing di Kimbo – così come rendere disponibile sui mercati nazionali ed esteri un prodotto di qualità, autenticamente made in Italy, realizzato nel rispetto delle persone e dell’ambiente. Per permettere ciò, attuiamo da sempre una stretta collaborazione con i produttori delle materie prime, una rigorosa selezione della materia prima all’origine e un controllo accurato dell’intero processo di filiera, assicurando così l’eccellenza dei prodotti. La materia prima, garantita da analisi organolettiche nei luoghi di origine e da severi controlli sui fornitori affinché rispettino le rigide condizioni previste nei capitolati d’acquisto, proviene prevalentemente dalle zone equatoriali di Centro e Sud America e Asia. Raccolta nell’interporto di Nola (Napoli), all’interno di magazzini nuovi ed efficienti dotati di avanzate tecnologie di movimentazione e stoccaggio delle merci, la materia prima è poi trasportata allo stabilimento di Melito di Napoli, dove avvengono la miscelazione, la tostatura e il confezionamento».

La filiera del caffè, tra quelle alimentari, è una delle più lunghe e complesse, tutto ha inizio nei luoghi di origine della pianta del caffè, Paesi che per la moka e l’espresso italiani si chiamano Vietnam, India, Indonesia, Colombia, Uganda e soprattutto Brasile, dal quale arriva più di un terzo delle nostre importazioni. A volte in questi luoghi sopraggiungono complicazioni legate a eventi climatici collaterali come siccità o eventuali malattie delle piante durante la fioritura che possono compromettere il raccolto.
«Certamente la materia prima nella filiera del caffè – spiega Stefano Rivò, direttore generale di Torrefazione Musetti – costituisce un elemento fondamentale. Non sempre c’è continuità nei raccolti, ciò è dovuto a cambiamenti climatici nel corso dell’anno, eccesso di precipitazioni, piuttosto che forte siccità. Per questa ragione le aziende torrefattrici devono selezionare nei vari Paesi del mondo, generalmente lungo la fascia equatoriale, nei luoghi di origine, per assicurarsi che la continuità del prodotto in tazza mantenga le caratteristiche organolettiche desiderate. Il trasporto del caffè, la sua lavorazione e il confezionamento rappresentano poi un altro aspetto di pari importanza. Mantenere la corretta curva di temperatura durante la tostatura, assicurarsi che il confezionamento limiti al minimo possibile il processo di ossidazione che ha inizio dopo la tostatura ha certamente un impatto sulla qualità del prodotto finale. Pensiamo che mantenere la qualità e fornire sempre un prodotto ai massimi livelli qualitativi sia la strategia vincente».

La selezione delle materie prime è fondamentale, ma bisogna avere anche l’esperienza e la professionalità di saper accostare le diverse qualità in modo che l’aroma e il gusto finale siano unici e perfettamente bilanciati e armonici tra loro. Poi c’è la tostatura, forse il passaggio cruciale per la lavorazione dei chicchi di caffè, con i differenti sistemi di torrefazione che influiscono in maniera decisiva sulla definizione del sapore.
«Riteniamo che la selezione delle migliori materie prime – afferma Carolina Vergnano, export manager di Caffè Vergnano – sia uno dei punti cardine per la qualità finale del prodotto. Per questo, dal 1882 la nostra azienda presta grande attenzione alla scelta delle origini più pregiate, siano essi caffè Arabica o Robusta, e alla conseguente miscelatura, per valorizzare al meglio le caratteristiche organolettiche proprie di ciascuna origine. La tostatura è il momento più delicato nel processo di lavorazione del caffè, perché dall’esatto grado di torrefazione dipende il concentrato di gusto e sapore dei chicchi. A differenza della maggior parte delle grandi torrefazioni moderne che lavorano con il metodo industriale definito “turbo”, cioè con cicli da 5-6 minuti ad alta temperatura, adottiamo un sistema di torrefazione di tipo “lento”, con cicli che durano tra i 18 e i 22 minuti. A ogni nuovo ciclo, la torrefazione di ogni singolo lotto viene controllata personalmente, per garantire un prodotto di qualità perfettamente costante nel tempo. Infine, anche la fase di confezionamento gioca un ruolo importante: il macinato viene conservato sottovuoto, in modo tale che, in assenza d’aria, aromi e profumi si possano conservare intatti. Una parentesi è da dedicare al segmento del porzionato: nelle cialde e nelle capsule è custodita la quantità di prodotto ottimale, pressata nel migliore dei modi. Il confezionamento singolo, in atmosfera protettiva, oltre a garantire igiene e praticità di utilizzo, mantiene qualità e la fragranza del caffè come fosse appena macinato».

Forte di questa tecnologia il monoporzionato, seppur rimanendo ancora un segmento piuttosto contenuto (circa il 5-6% del mercato), negli ultimi anni ha messo a segno incrementi a due cifre. Meno brillanti le performance dell’espresso del bar che, insieme agli altri segmenti dell’horeca, rappresenta ancora quasi il 40% del volume totale del caffè torrefatto (il 10% è veicolato dal vending). Secondo la Federazione italiana pubblici esercizi (Fipe) l’espresso continua a valere il 31% del giro d’affari dei quasi 150.000 bar sul territorio italiano (6 miliardi di euro), ciascuno dei quali ogni giorno vende circa 175 tazzine di caffè, cappuccini compresi. La varietà preferita dagli italiani è la Robusta (36,4% delle importazioni totali di caffè verde), seguita dai Brasiliani (36,3%), mentre quelle che crescono di più sono i Colombiani dolci: costituiscono il 4,4% dell’import totale, ma registrano un ottimo incremento (+33,4%).
In termini di consumi pro capite gli italiani non sono i maggiori fruitori di caffè d’Europa. Secondo i dati di Euromonitor, infatti, siamo soltanto al terzo posto con 2,7 kg di caffè all’anno, dietro a Finlandia (8,4 kg) e Germania (4,7 kg). Anche in termini di esportazioni l’Italia si colloca in terza posizione, dietro Germania e Belgio, con circa 2,7 milioni di sacchi (equivalente verde). I principali mercati esteri per il nostro caffè torrefatto sono i Paesi comunitari, che assorbono oltre il 70% dell’export italiano (soprattutto Francia e Germania), gli Stati Uniti e l’Australia, anche se si registra una significativa espansione, in particolare, nei Balcani e nell’Europa orientale.

«Il cuore di tutto il processo di lavorazione del caffè tostato – spiega Michele Rizzo, direttore generale di Mauro Demetrio – è la torrefazione dei singoli chicchi verdi, momento spesso sottovalutato da chi s’improvvisa torrefattore. Durante la tostatura, infatti, gli zuccheri devono caramellarsi senza bruciarsi, garantendo in tazza un gusto naturalmente dolce. La “tostatura lenta” permette che la cottura del chicco sia completa esaltandone gli oli essenziali che sprigionandosi danno al caffè un aroma dolce e fragrante; al contrario una tostatura veloce (usata da molti torrefattori) comporta il famoso effetto popcorn, una cottura frettolosa e disomogenea del chicco che brucia gli zuccheri conferendo al caffè un retrogusto amaro. Ulteriore elemento è la corretta tecnologia di confezionamento, che non fa altro che consentire ai consumatori di gustare sempre un prodotto al massimo delle sue possibilità sensoriali, infatti un perfetto confezionamento avviene dopo poche ore dalla tostatura, in modo che gli inevitabili processi di ossidazione che caratterizzano il caffè siano limitati al massimo. L’utilizzo di materiali poliaccoppiati con un barrierante di alluminio consente un’idonea conservazione del prodotto. Inoltre, il confezionamento su tutti i prodotti in grani prevede l’utilizzo di opportune valvole monodirezionali, che consentono una degasazione del prodotto conservandone e preservandone gli aromi e permettendone un utilizzo istantaneo».
Il consumatore, soprattutto in un contesto recessivo come quello attuale, è diventato sempre più consapevole e attento a ciò che acquista e le aziende del settore del caffè non possono prescindere dal mantenere un’elevata e costante qualità del prodotto.

[continua su «Largo Consumo»]