L’affiliazione come motore di imprenditorialità

di Fabio Massi

Le piccole e medie imprese del nostro Paese possono valutare l’ipotesi di unirsi in rete per competere sia dentro sia fuori dai confini nazionali.

Piccole imprese unite in grandi reti per poter competere dentro e fuori i confini nazionali. È l’essenza del sistema del franchising che sta dimostrando di essere, nonostante la crisi economica, un efficace e dinamico motore di imprenditorialità per le Pmi del commercio italiano. Durante il quinquennio 2009-2013, infatti, mentre il mercato del retail ha fatto registrare numeri negativi a causa della difficile situazione congiunturale, il franchising ha saputo tenere le sue posizioni, mettendo a segno anche performance interessanti come per l’export dei format italiani, sia per numero di punti vendita sia per insegne affilianti (franchisor).

Secondo i dati raccolti nel “Rapporto Assofranchising Italia 2013” – realizzato da Assofranchising aderente a Confcommercio in collaborazione con l’Osservatorio permanente del franchising dell’Università “La Sapienza” di Roma e Indis-Unioncamere – negli ultimi cinque anni il settore ha evidenziato numeri sostanzialmente positivi: +5,5% il giro d’affari, +4,6% gli addetti occupati nei negozi, +14,2% il numero di franchisor.
Nel 2013, i punti vendita in franchising nel nostro Paese erano oltre 51.100, con un leggero calo rispetto all’anno precedente (-2,1%), mentre il numero delle insegne operative è rimasto sostanzialmente invariato (939). Stabile anche il totale degli addetti nei punti vendita – compresi gli affiliati (i franchisee) – che ha superato quota 187.000, con una media di 3,7 occupati per negozio (+2,8%). È salito, anche se di poco, il fatturato complessivo, che ha raggiunto i 23,5 miliardi di euro (+1%), un risultato davvero incoraggiante per il sistema del franchising soprattutto se contestualizzato nell’attuale situazione di congiuntura economica. Se si considera, inoltre, che l’unico settore in perdita è stato quello delle agenzie immobiliari con un calo di fatturato di circa 120 milioni di euro – ma anche con la chiusura di 695 punti vendita e con la diminuzione di più di 1.800 addetti occupati – il giro d’affari del franchising senza il settore menzionato avrebbe fatto registrare un incremento dell’1,6%.

La distribuzione delle reti in franchising in Italia è fortemente concentrata nel Settentrione, dove si raccoglie il 58,1% delle insegne attive (Nordest 20,8% e Nordovest 37,3%), il 22% opera al Centro e il 19,9% nel Sud e nelle isole. Sempre in termini di presenza di franchisor, la Lombardia è la regione con il numero maggiore, ben 244, poi viene il Lazio con 111 e il Veneto con 93, mentre la Valle d’Aosta è l’unica che non ha nemmeno un’insegna affiliante. La Lombardia guida anche la classifica delle regioni con più punti vendita in franchising (8.509), seguita sempre dal Lazio (6.208), poi dal Piemonte (4.296), dalla Sicilia (4.284) e dalla Campania (4.247). Fanalino di coda ancora la Valle d’Aosta con 144 franchisee.
Uscendo dai confini italiani, si nota come la formula del franchising sia molto più sviluppata in alcuni Paesi rispetto al nostro. Basti pensare che negli Stati Uniti ci sono oltre 770.000 franchisee, uno ogni 407 abitanti, le cui attività incidono per il 38,5% sul totale dei punti vendita del retail. Per rimanere in Europa, invece, la Germania è la realtà che conta più affiliati con 72.700 (uno ogni 1.125 abitanti) e un peso del 14%, poi segue la Francia con oltre 65.000 franchisee (uno ogni mille abitanti) e un’incidenza del 14,5%. Nel nostro Paese il franchising ha ancora grandi margini di crescita, poiché il suo peso sull’intero settore commerciale è del 6,8%. Un dato interessante, però, è quello relativo allo sviluppo di reti italiane all’estero che nell’ultimo anno ha fatto registrare un incremento del 10,4%: sono stati infatti 149 i franchisor made in Italy che nel 2013 hanno operato in territorio straniero, per un totale di quasi 7.800 punti vendita affiliati.

«Il franchising presenta il grosso vantaggio di acquisire e integrare imprenditorialità locale – afferma Tommaso Tentarelli, direttore franchising di Magazzini Gabrielli – che, grazie alla divisione del lavoro tra affiliante e affiliato, può svolgere la propria attività più efficacemente ed efficientemente di quanto riuscirebbe a fare da solo. In questo particolare momento, inoltre, fornisce importanti opportunità occupazionali, favorite dalla possibilità di intraprendere attività imprenditoriali, sfruttando l’esistenza di un’organizzazione centrale in grado di produrre, con sostanziali economie di scala, servizi specializzati. Grazie al franchising, il processo di modernizzazione della rete distributiva in Italia avrà un impulso considerevole, inoltre è possibile aumentare la presenza sul territorio anche in aree che difficilmente rientrano nelle strategie di sviluppo dirette. Il tutto con investimenti contenuti».
Proprio in tema di investimento iniziale richiesto per avviare l’attività, sempre dai dati pubblicati da Assofranchising emerge che soltanto il 16,2% dei franchisee spende una cifra superiore ai 100.000 euro, mentre poco più di un quinto investe tra i 50.000 e i 100.000 euro e il 19,5% tra i 30.000 e i 50.000 euro. Poco meno del 44%, invece, rimane al di sotto dei 30.000 euro e più di un franchisee su dieci investe meno di 10.000 euro.

L’ammontare dell’investimento per avviare l’attività è strettamente legato all’estensione del punto vendita, che comprende sia la parte aperta al pubblico sia eventuali magazzini o locali di servizio. Fino a qualche anno fa, in pieno boom immobiliare, una delle maggiori difficoltà per aprire un negozio in franchising era proprio l’elevato costo d’acquisto o del canone di locazione, mentre oggi la situazione è sensibilmente migliorata, se si escludono le zone più centrali e quelle tradizionalmente dedicate allo shopping. Il 57,4% dei franchisee preferisce avviare la propria attività su locali di dimensioni piuttosto limitate, con una superficie compresa tra 21 e 80 metri quadrati. Un altro 15,4% opta per una misura compresa tra 101 e 200 metri quadrati, mentre il 7,9% si posiziona tra i 201 e i 500 metri quadrati e soltanto il 3,4% super i 500 metri quadrati.
«Il progetto franchising da sempre coniuga l’organizzazione e la struttura centrale del franchisor con l’imprenditorialità e la sensibilità sul territorio dei franchisee. L’obiettivo di una partnership proattiva – spiega Nicola Cescon, direttore franchising di Marketing trend – è la continua ricerca di coniugare l’essere globali e locali contemporaneamente: è questa la semplice formula che consente di far funzionare il rapporto, tutelando specialmente i nuovi imprenditori nell’avere alle spalle aziende strutturate e organizzate per supportarli in tutto il loro percorso».

In un mercato sempre più competitivo dominato dalla gdo e con lo sviluppo dei nuovi canali distributivi favoriti dalla diffusione della tecnologia, in effetti è diventato quasi proibitivo lanciarsi in una nuova attività commerciale contando soltanto sulle proprie forze. Il franchising, perciò, che si fonda su una partnership tra affiliante e affiliato, rappresenta una formula distributiva in grado di consentire anche al piccolo operatore commerciale di essere proprietario del suo punto vendita e di operare con efficacia sul mercato, all’interno di un sistema a rete che gli fornisce gli strumenti, il know-how e ogni supporto per poter agire in modo competitivo.
Il franchising, inoltre, contribuisce in maniera significativa alla creazione di nuova imprenditorialità, soprattutto giovane. Sempre dal rapporto di Assofranchising, infatti, emerge che gli affiliati hanno un’età media piuttosto bassa: il 57% dei franchisee ha tra i 36 e i 45 anni, il 25,6% tra i 25 e i 35 anni, il 16,4% tra i 46 e i 55 anni, mentre soltanto l’1% è sopra i 55 anni. Nel nostro Paese, inoltre, il franchising rappresenta una valida occasione per l’imprenditoria femminile, visto che il 38% del totale dei punti vendita è gestito da franchisee donne.

«Il franchising è uno strumento che serve a “clonare” un business model di successo – dichiara Fabrizio Festa, responsabile franchising di Bottega verde – ed è proprio per questo che ha ottenuto in questi ultimi anni crescite importanti sia a livello di volume d’affari sia come numero di nuove aperture e di persone impiegate. I franchisor hanno infatti sviluppato nel tempo propri sistemi di vendita di prodotti o servizi che hanno dato i giusti benefici in termini di incassi e di sostenibilità dei conti economici, un’organizzazione che può essere replicata anche nei negozi affiliati. Oggi, quindi, il franchising contribuisce a creare nuovi sbocchi occupazionali e concorre a modernizzare il retail italiano sostituendo attività non più competitive con format più all’avanguardia».
In termini merceologici, è il settore dei servizi che attira più di tutti gli imprenditori del franchising con oltre 24.300 punti vendita, pari al 47,6% del totale, segue il comparto degli articoli per la persona con 12.600 punti vendita (24,6%) e il commercio non specializzato con quasi 5.000 negozi (9,6%). A livello di fatturato, sono le reti alimentari della gdo a contribuire maggiormente con il 31,2% del totale, pari a circa 7,3 miliardi di euro, seguono i prodotti e servizi specialistici con il 9,5%, l’abbigliamento con il 6,6%, la ristorazione con 6,3%, l’intimo con il 6% e le agenzie di viaggio con il 5,2%.

«In un mondo moderno sempre più concorrenziale e competitivo non ha davvero più senso continuare a operare da soli con vecchie metodologie ed esperienze – afferma Stefano Di Veroli, direttore generale di C’Art – al contrario è sempre più necessario unirsi per condividere e scambiarsi tutte quelle informazioni necessarie per poter adattare continuamente la propria attività a un universo commerciale in continuo mutamento. Il franchising è sicuramente la formula più adatta a elevare il “sapere” e le conoscenze dei piccoli e medi imprenditori ed è questo scambio di informazioni e di conoscenze il maggior contributo della formula del franchising al sistema distributivo italiano».
Avviare e portare avanti un’attività mediante una formula già sperimentata da altri, essere supportati e consigliati, sentirsi parte di una squadra è sicuramente un vantaggio non da poco soprattutto nei periodi di crisi come quello attuale. La grave congiuntura economica, infatti, ha inciso in maniera profonda sui gusti e sulle tendenze di acquisto dei consumatori, i quali sono sempre più informati e rigorosi verso elevati standard di qualità, ma a un prezzo conveniente. E il retail in franchising probabilmente riesce a proporre ai consumatori un giusto compromesso tra la qualità dei prodotti, molto spesso garantita dal marchio del franchisor, e una certa omogeneità dei prezzi, poiché comuni a tutti i punti vendita di una determinata rete.

«Ritengo che specialmente nei momenti di difficoltà sia importante creare sinergie – spiega Roberto Zanoni, direttore generale di Ecornaturasì – e sempre più imprenditori preferiscono instaurare rapporti con catene e marchi conosciuti e apprezzati dai consumatori. In particolare, per quanto riguarda il nostro settore, ci troviamo in una situazione in controtendenza grazie al fatto che i valori che stanno alla base del nostro mercato sono accettati e condivisi da sempre più persone. Salvaguardia dell’ambiente e della fertilità della terra, attenzione alla salute, offerta di cibo di alta qualità sono alla base della proposta e della missione della nostra azienda. Nella nostra esperienza fortunatamente non abbiamo mai avuto grandi difficoltà e criticità con i nostri affiliati. Riteniamo che alla base di tutto sia indispensabile instaurare un forte rapporto umano e creare condivisione nelle scelte. Da parte nostra, abbiamo sempre cercato di offrire grande professionalità e la possibilità di partecipare a numerosi corsi di formazione sia dal punto di vista tecnico sia relazionale. Purtroppo, di questi tempi, la vera difficoltà è avere del capitale da investire specialmente se si è giovani. In molti casi, per favorire lo sviluppo, la nostra azienda ha dato la disponibilità a entrare in partecipazione, in particolare nella fase di start-up».

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