Mais senza geodisinfestanti

di Fabio Massi

Nuove sperimentazioni basate sull’utilizzo di buone pratiche agronomiche tradizionali, lotta integrata e tecnologie satellitari dimostrano che è vantaggioso coltivare mais senza geodisinfestanti.

Coltivare mais senza l’utilizzo dei geodisinfestanti non è solo possibile, ma anche molto più economico. A sostenerlo è il Consorzio per la difesa delle colture agrarie dalle avversità (Condifesa) del Veneto che, oramai da tre anni in collaborazione con Veneto agricoltura e Regione Veneto, sta sperimentando sulla coltivazione del mais un’agricoltura innovativa ed ecocompatibile basata sull’utilizzo di buone pratiche agronomiche tradizionali, lotta integrata e tecnologie satellitari.

Il progetto sul mais prevede di non trattare i terreni coltivati con gli insetticidi comunemente utilizzati per combattere i parassiti e i fitofagi, né di servirsi di semi conciati, cioè trattati sempre con insetticidi, ma di utilizzare esclusivamente metodi colturali tradizionali come la corretta rotazione e fertilizzazione dei terreni, mezzi biologici e meccanici di contrasto ai principali parassiti anche grazie al monitoraggio degli insetti dannosi mediante trappole e feromoni. Attraverso le tecnologie satellitari, inoltre, è possibile geomappare in maniera precisa, quasi al centimetro, la collocazione del seme della pianta in fase di semina, in modo tale da individuare, nelle fasi successive, il singolo apparato radicale che eventualmente necessita di un trattamento mirato.

Gran parte degli agricoltori, anche sotto la pressione dei grandi marchi e delle multinazionali, sono abituati a eseguire grandi trattamenti sulle colture a tutto campo in maniera preventiva, mentre i risultati della sperimentazione di Condifesa dimostrano che solamente l’1% delle superfici agricole non trattate con i geodisinfestanti subisce danni significativi da insetti terricoli.
Oltre alle intuibili ricadute positive per l’ambiente e per la salute degli operatori, la drastica riduzione dell’utilizzo degli agrofarmaci comporta un considerevole risparmio economico per le aziende, quantificabile in circa 50 euro per ettaro che, nel solo territorio del Veneto, equivale a oltre 10 milioni di euro spesi ogni anno per gli insetticidi.

«Ma qui subentriamo noi – spiega Valerio Nadal, presidente di Condifesa Treviso – con l’apposito “fondo mutualistico mais” che copre la coltivazione non solo dai danni da avversità atmosferiche (eccesso di pioggia o siccità) ma anche da parassiti (quali elateridi, diabrotica e nottue). Questo significa per l’agricoltore arrivare al rischio zero, con un risparmio economico e ambientale evidente».
La combinazione di buone pratiche di agricoltura ecosostenibile, tecnologia e copertura del rischio economico è perciò la strada più efficace per arrivare al rischio zero, soprattutto per la coltura del mais che nel territorio della sola provincia di Treviso ha subito negli ultimi due o tre anni una riduzione di circa il 20% a causa delle patologie e della bassa redditività.

La rinuncia all’utilizzo dei gesodisinfestanti, inoltre, favorisce la riduzione dei rischi per gli operatori agrari che non vengono esposti a sostanze chimiche, evita gli effetti negativi degli agrofarmaci sulla microfauna utile a rendere il terreno più ricco e fertile per le colture, elimina il rischio di inquinamento delle acque e per la fauna in generale.
Questa sperimentazione non è l’unico progetto innovativo promosso da Condifesa per lo sviluppo dell’agricoltura. Nel tentativo di capire se la tecnologia dei droni possa rappresentare uno strumento affidabile e utile per le coltivazioni, sul quale investire per il futuro, lo scorso agosto Condifesa ha deciso di riunire una decina di aziende specializzate nell’utilizzo dei droni alla prima competizione italiana dedicata all’agricoltura di precisione per la valutazione dei danni causati da eventi climatici o fitopatologie.

Durante i cinque giorni di prove su due campi – uno di mais in pianura, l’altro un vigneto in collina – i droni hanno misurato le aree del mais danneggiate dalla diabrotica, l’insetto che negli ultimi anni sta colpendo pesantemente questa coltura nel pianura padana, e hanno contato le piante di vite colpite dal mal dell’esca. «Vogliamo poter valutare la precisione e l’uniformità dei dati che ci saranno forniti – continua il presidente di Condifesa Treviso – e la loro efficacia per stimare l’entità del danno. L’obiettivo è poter fornire ai nostri associati strumenti certi, per ottenere la giusta remunerazione da parte delle compagnie assicurative».

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