Nuova vita per gli abiti usati

di Fabio Massi

Da rifiuto a potenziale vantaggio economico e ambientale per merito del circuito della raccolta trasformatosi in un’importante filiera industriale del tessile.

Cresce la raccolta degli abiti usati in Italia, anche se il nostro Paese è ancora piuttosto distante da altre realtà europee a causa soprattutto di regole poco chiare e per nulla trasparenti. Questo, in estrema sintesi, il quadro di un settore che, dalle iniziali attività di beneficienza, si è trasformato in un’importante filiera industriale per il recupero e il riuso dei rifiuti tessili, gestita dal Consorzio nazionale abiti e accessori usati (Conau). Negli ultimi cinque anni – secondo l’ultimo rapporto pubblicato dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) – l’Italia è passata dalle 80.300 tonnellate di abiti raccolti nel 2010 alle oltre 124.300 del 2014, facendo registrare un incremento del 54,8%. Se consideriamo solamente l’andamento dell’ultimo biennio, il 2014 ha evidenziato una crescita del 12,1% rispetto all’anno precedente, quando le tonnellate raccolte furono 110.900.

Non tutte le zone del Paese contribuiscono alla stessa misura: mentre il Nord ha raccolto nel 2014 quasi la metà del quantitativo complessivo (49,2%), il Centro e il Sud si attestano rispettivamente sul 26,3% e sul 24,5%. Ciononostante sono proprio le macroaree centrali e meridionali a mostrare, nell’ultimo anno, le migliori performance di crescita (rispettivamente +12,7% e +12,5%), contro il +11,7% fatto registrare dal Settentrione. Tra le regioni maggiormente virtuose, invece, spiccano il Trentino Alto Adige e la Basilicata che hanno messo a segno una raccolta pro capite di 3,4 kg (la media nazionale è di 2 kg), a seguire la Toscana con 3,3 kg. Nonostante la buona crescita, però, l’Italia rimane indietro rispetto ad alcuni Paesi europei, che già da tempo hanno compreso il grande valore del recupero dei rifiuti tessili. La Germania, ad esempio, riesce a intercettare il 66% degli indumenti usati (quasi 8 kg pro capite), il Belgio il 65%, la Danimarca il 58%, la Francia il 48% e l’Austria il 40%, mentre l’Italia non va oltre il 22%. Un sistema efficiente di raccolta degli abiti usati significherebbe per il nostro Paese un notevole risparmio economico dovuto alla minore spesa sia per lo smaltimento in discarica di centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti all’anno sia per l’approvvigionamento di nuove materie prime.

Non solo: sarebbe anche un importante strumento per la riduzione dell’impatto ambientale delle attività industriali. Secondo uno studio di qualche tempo fa realizzato dall’Università di Copenhagen, infatti, con la raccolta di un solo chilogrammo di indumenti usati si riduce l’emissione di 3,6 kg di Co2, si evita il consumo di 6.000 litri d’acqua, l’utilizzo di 300 grammi di fertilizzanti e di 200 grammi di pesticidi. Per l’Italia, questi numeri si tradurrebbero, in un anno, nell’evitare di emettere nell’aria 864.000 tonnellate di Co2, nel risparmio di 1.440 milioni di metri cubi d’acqua, in 72.000 tonnellate in meno di fertilizzanti e di 48.000 tonnellate di pesticidi. Per arrivare a tali risultati, però, occorre spingere sull’acceleratore non soltanto in termini culturali attraverso campagne di sensibilizzazione destinate ai cittadini, ma soprattutto con l’introduzione di regole chiare e trasparenti in grado di disciplinare le attività di raccolta, riciclo, preparazione per il riutilizzo e riuso degli abiti usati, rendendo tracciabili tutti i flussi gestiti dal sistema.

«È necessario che si proceda in tempi rapidi alla definizione del decreto previsto dal Testo unico ambientale – afferma Edoardo Amerini, presidente del Conau – per fornire un riferimento univoco e preciso su tutto il territorio nazionale per la disciplina delle attività di recupero e riuso degli abiti usati, con l’individuazione dei requisiti degli operatori e delle reti accreditate per la gestione degli stessi». Attualmente – secondo un’indagine svolta proprio dal Conau – sarebbero presenti su tutto il territorio nazionale circa 4.000 cassonetti non autorizzati attraverso i quali si raccoglierebbero non meno di 15.000 tonnellate di abiti all’anno. Se si considerano anche i quantitativi raccolti con il sistema “porta a porta” e con le campagne di rottamazione organizzate dalle grandi catene commerciali del nuovo, si stima che il circuito non ufficiale possa mettere insieme circa 25.000 tonnellate all’anno, pari a quasi un quinto del risultato complessivo raggiunto nel 2014 dal Conau.

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