Il mercato pataticolo italiano sta attraversando un periodo turbolento, soprattutto a causa dell’instabilità climatica e dell’elevata dipendenza dalle importazioni comunitarie.
Tra incognite legate all’andamento climatico che condiziona la qualità dei prodotti e l’elevata dipendenza dalle importazioni dall’estero, il mercato italiano delle patate sembra attraversare un periodo abbastanza complicato. Secondo i dati dell’Osservatorio economico della filiera pataticola di Ismea, la produzione nazionale di patate da consumo nel 2015 dovrebbe aver raggiunto 1,2 milioni di tonnellate, con una netta contrazione rispetto a circa 1,5 milioni dell’anno precedente. La superficie coltivata nel nostro Paese – localizzata prevalentemente in Emilia Romagna, Calabria, Abruzzo, Campania, Veneto e Puglia – dovrebbe collocarsi intorno ai 44.000 ettari, di cui circa 33.000 di patate da conservazione e circa 11.000 di patate novelle.
Tale risultato è frutto sia della riduzione delle superfici investite sia delle rese produttive per ettaro, penalizzate anche dalle temperature eccezionalmente alte che sono state registrate nel corso dell’anno. Il 2014 era andato decisamente meglio: l’offerta nazionale comprendeva 1,2 milioni di tonnellate di patate da consumo e circa 300.000 tonnellate di patate novelle, facendo registrare un incremento del 20% rispetto all’anno precedente, dovuto alla crescita sia delle superfici investite sia della resa per ettaro. Il 2015 non è stato un anno brillante neanche per i primi cinque Paesi produttori in Europa (Germania, Francia, Regno Unito, Belgio e Paesi Bassi) la cui produzione complessiva – secondo i dati della North-western european potato growers foundation (Nepg) – si è attestata al di sotto dei 25 milioni di tonnellate, evidenziando una riduzione dell’11% rispetto al 2014, quando le tonnellate furono 28,5 milioni.
La superficie coltivata a patate ha raggiunto i 533.000 ettari, perdendone circa 14.000 sul 2014 (-2,5%). Si è verificata, perciò, una bassa resa rispetto ai dodici mesi precedenti, dovuta principalmente a un’estate secca in molte regioni europee che ha frenato lo sviluppo dei tuberi, ma anche alle abbondanti precipitazioni in alcune nazioni come Belgio e Paesi Bassi. Tali condizioni atmosferiche hanno causato una riduzione della percentuale di sostanza secca, i cui effetti si fanno sentire soprattutto sulle patate destinate alla trasformazione industriale, mentre la sovrabbondanza di pioggia provoca anche difficoltà di conservazione a causa dei marciumi. Da sottolineare che i cali di produzione più significativi si sono verificati nei Paesi dell’Est europeo, dove la contrazione ha toccato picchi tra il 30 e il 40%.
Nonostante la scarsa qualità diffusa dei tuberi europei, il mercato italiano delle patate comuni continua a essere fortemente condizionato dall’offerta dei principali produttori comunitari – soprattutto dalla Francia, con una quota che nel 2014 ha superato abbondantemente il 60% dell’import totale – che riescono a essere molto competitivi, grazie a costi di produzione più bassi. Nel 2014 le importazioni di patate dall’estero hanno sfiorato le 500.000 tonnellate, per un valore di circa 100 milioni di euro. A incidere in maniera indiretta ma per nulla marginale sul mercato italiano è stato anche il recente embargo della Russia nei confronti dei prodotti agroalimentari dell’Unione europea. In particolare, la chiusura russa ha colpito poco meno del 40% dell’export di patate comunitarie, spingendo diversi produttori del Nord Europa a dirottare sul nostro mercato i loro tuberi dal costo decisamente più basso rispetto a quelli italiani.
«I produttori di patate italiani e i confezionatori – afferma Mario Schiano lo Moriello, direzione servizi per lo sviluppo rurale di Ismea – si trovano a operare in un contesto competitivo particolarmente turbolento. Infatti, il mercato nazionale delle patate comuni è fortemente condizionato dall’offerta dei principali produttori europei che riescono a essere molto competitivi, grazie a costi di produzione più bassi. In Italia si verifica una situazione paradossale, in quanto anche se la produzione non è sufficiente a coprire il fabbisogno interno, i prezzi al produttore tendono a schiacciarsi, spinti verso il basso dalla pressione dell’offerta dei Paesi nordeuropei. Per il consumatore, poi, si presentano due grandi problematiche. La prima riguarda la qualità del prodotto che varia fortemente a seconda della cultivar. Ad esempio, vi sono cultivar dal profilo qualitativo scadente che sono molto diffuse, in quanto garantiscono al produttore elevate rese per ettaro. Esiste poi un problema dell’origine del prodotto, ossia il consumatore non percepisce il Paese dove la patata è stata coltivata o tende comunque a credere che sia prodotta in Italia. A tal riguardo giova ricordare che i prodotti Dop e Igp forniscono garanzie ai consumatori circa l’origine geografica del prodotto. Appare importante, quindi, che operatori e istituzioni sensibilizzino il consumatore a un acquisto consapevole».
Nel corso dell’ultimo anno le vendite nazionali in volume del prodotto confezionato – secondo i dati elaborati da Ismea – hanno mostrato una buona crescita (+2,6% nel periodo ottobre 2014-settembre 2015 rispetto all’anno precedente), grazie soprattutto alla brillante performance fatta registrare dai discount (+7,4% su base annua) che sono arrivati a pesare per il 20% delle vendite in volume, attestandosi al terzo posto dietro supermercati (41%) e ipermercati (27%), più staccato il libero servizio con il 10%. L’incidenza dei discount sui volumi di vendita, poi, sale fino al 36% per quanto riguarda il segmento delle patate surgelate, mentre i supermercati si fermano al 31%, gli ipermercati al 19% e il libero servizio al 10%. Grazie soprattutto alla diffusione delle private label nella grande distribuzione organizzata, negli ultimi anni il prodotto made in Italy ha rafforzato la propria quota di mercato, anche se – come abbiamo visto in precedenza – le patate d’importazione continuano a incidere in misura importante sui consumi nazionali. Consumi che però risultano in generale flessione sia a causa del perdurare della crisi economica sia delle difficoltà produttive della filiera.
«Credo che la riduzione dei consumi – spiega Roberto Chiesa, direzione commerciale di F.lli Romagnoli – vada letta come la convergenza di almeno due fattori: variazione dei gusti e della dieta, e maggiore acquisto consapevole con particolare attenzione alla riduzione degli sprechi, che da solo vale circa il 10% a volume. Questi elementi, sommati alla lunga fase recessiva, hanno modificato – forse in maniera irreversibile – e ridotto i consumi non solo in Italia, ma in tutta Europa. A questo nuovo contesto, la filiera non ha sempre reagito in modo coordinato. C’è bisogno di una ristrutturazione dell’intero settore commerciale e produttivo, con concentrazione delle produzioni e quindi con la nascita di realtà commerciali dimensionate per poter fare fronte alle nuove scommesse del mercato e per adottare una sana politica di contenimento dei costi e razionalizzazione dell’intera filiera. Il prodotto made in Italy deve comunque rafforzare la sua identità, deve divenire sempre più riconoscibile e distintivo, a partire dalla scelta varietale. Oggi in Italia si offrono patate classificate banalmente per il colore della buccia o per una generalistica destinazione culinaria dove il prezzo la fa da padrone. Il consumatore moderno è cambiato, vuole essere informato e s’informa, pertanto l’offerta deve essere chiara, esaustiva, di qualità e gratificante per chi destina tempo alla preparazione. Per rispondere a queste nuove esigenze deve cambiare la struttura dell’offerta, con particolare attenzione al segmento premium che, come per altri prodotti, è quello che oggi riscuote maggiori attenzioni».
Dalla metà del 2015 in avanti il mercato nazionale delle patate è stato caratterizzato da un rialzo dei prezzi rispetto all’anno precedente, nonostante perdurasse la forte l’incidenza dell’offerta di patate di qualità minore con problemi di conservazione, sia di origine nazionale sia straniera.
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