I produttori italiani di pasta scendono sul piede di guerra e si oppongono alla bozza di decreto del Mipaaf che introduce l’obbligo di indicare in etichetta il Paese di origine del frumento.
Il consumatore si dimostra sempre più esigente in termini di informazioni sui prodotti che acquista, soprattutto sulla loro origine, ancora di più se si tratta di cibo. Finora, però, l’alimento italiano per eccellenza, la pasta, è rimasto abbastanza ai margini di questa necessità, poiché sulle confezioni di spaghetti, rigatoni o penne non viene specificata la provenienza del grano.
Per cercare di sopperire a tale mancanza, lo scorso 20 dicembre il Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali (Mipaaf) ha inviato alla Commissione europea, per una prima verifica, lo schema di decreto che introduce l’obbligo per i produttori italiani di pasta secca di indicare sull’etichetta il Paese di origine del grano. Il principale obiettivo del provvedimento, condiviso con il dicastero dello Sviluppo economico, è imporre alle aziende della filiera del grano e della pasta di fornire al consumatore la massima trasparenza delle informazioni sulla materia prima con cui si produce il prodotto principe del made in Italy alimentare.
Nel dettaglio il decreto, simile a quello che recentemente è stato introdotto per il settore lattiero-caseario per l’origine del latte, prevede che le confezioni di pasta secca prodotte in Italia dovranno riportare in etichetta sia il Paese in cui è stato coltivato il grano sia quello in cui è stato macinato. Qualora queste fasi avvengano in più di una nazione, l’etichetta dovrà indicare “Paesi Ue”, “Paesi non Ue” oppure “Paesi Ue e non Ue”. Nel caso in cui, invece, il grano sia stato coltivato almeno per il 50% in un solo Stato, come ad esempio il nostro, allora si dovrà utilizzare la dicitura “Italia e altri Paesi Ue e/o non Ue”. Tutte queste indicazioni dovranno essere apposte sulle confezioni di pasta in maniera evidente e chiaramente leggibile.
A sostegno della necessità del decreto, il Mipaaf ha fatto sapere che, secondo un sondaggio pubblico online proposto sul proprio sito internet a cui hanno partecipato oltre 26.000 persone, «l’85% degli italiani considera importante conoscere l’origine delle materie prime per questioni legate al rispetto degli standard di sicurezza alimentare, in particolare per la pasta».
Il provvedimento, però, non è stato accolto con soddisfazione dai produttori di pasta. L’Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane (Aidepi), ad esempio, in rappresentanza di 130 imprese che coprono circa l’80% del mercato, esprime un giudizio fortemente critico.
«Noi pastai italiani – spiega Riccardo Felicetti, presidente di Aidepi – siamo da sempre a favore della trasparenza nei confronti del consumatore. Produciamo pasta con le migliori semole ottenute da grani duri di elevata qualità italiani ed esteri, comunicarlo è una scelta all’insegna della trasparenza nei confronti del consumatore che, in questo modo, potrà verificare come dietro la qualità della pasta italiana a volte ci sono ottimi grani duri nazionali, altre volte eccellenti grani duri stranieri. L’etichetta scelta dal decreto del Mipaaf, invece, dà informazioni poco chiare e, anziché aiutare il consumatore a fare scelte consapevoli, lo disorienta e lo confonde. Si vuole far credere che la pasta italiana è solo quella fatta con il grano italiano o che la pasta è di buona qualità solo se viene prodotta utilizzando grano nazionale. Non è vero. La qualità del grano si può e si deve misurare attraverso la verifica della conformità a specifici requisiti e parametri che dipendono, ad esempio, dalle condizioni del terreno, da quelle climatiche e dalle pratiche agronomiche adottate».
E poi c’è il fatto che il grano duro coltivato nel nostro Paese non è sufficiente per soddisfare la richiesta dei produttori di pasta. Ogni anno, infatti, ne vengono importati dall’estero 2,3 milioni di tonnellate (soprattutto da Canada, Stati Uniti e Ucraina) che si vanno ad aggiungere a circa 4 milioni di tonnellate di grano italiano per una produzione di pasta di oltre 3,4 milioni di tonnellate, la più alta al mondo, con un valore di oltre 4,6 miliardi di euro.
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