Affiliato, ma anche imprenditore

di Fabio Massi

Nel mercato odierno è sempre più difficile avviare un’attività commerciale, non c’è spazio per l’improvvisazione e il franchising può rappresentare un valore aggiunto per chi vuole diventare imprenditore, ma teme il rischio d’impresa. A patto, però, che il progetto di affiliazione sia in grado garantire un elevato livello di innovazione sia in termini di struttura e organizzazione sia di efficacia strategica del brand.

In Italia il franchising continua a crescere nonostante il rallentamento dell’economia e lo scorso anno – secondo i dati elaborati da Federfranchising-Confesercenti – ha chiuso con un fatturato di 24,4 miliardi di euro, facendo registrare un incremento dello 0,8% rispetto al 2107, quando la crescita fu leggermente superiore (+0,9%). Un risultato messo a segno anche grazie all’espansione della rete: prosegue, infatti, la crescita degli imprenditori affiliati, i cosiddetti franchisee, che hanno superato quota 52.000 (+1,6% sul 2017), così come gli occupati che hanno sfondato il tetto delle 195.000 unità (+0,6%), mentre le insegne dei franchisor sono calate dell’1,8% rimanendo sotto il migliaio. In termini di ripartizione merceologica, la maggior parte delle attività in affiliazione si concentrano nei servizi alla persona (25% dei franchisee), seguono i settori dell’abbigliamento (21%) e della ristorazione (18%), più staccato il comparto dei prodotti per la casa (5%). Nell’enogastronomia, in particolare, quasi tre imprese su dieci sono ristoranti (29%), sia italiani sia etnici, mentre a livello territoriale è la Lombardia la regione con il maggior numero di franchisee attivi (più di uno su quattro), seguono Lazio, Veneto, Emilia Romagna e Campania.

I dati precedenti dimostrano che il franchising è piuttosto in salute e riesce a crescere a ritmi superiori a quelli del commercio in generale. Dal punto di vista economico, inoltre, la diffusione del franchising incide positivamente su alcuni importanti aspetti come l’organizzazione delle filiere di fornitura, il controllo sui prezzi, la tutela del lavoro, l’aumento della dimensione d’impresa e la stabilizzazione della vita media dei franchisee. Il settore dell’affiliazione commerciale con i suoi elementi di forza, però, si deve confrontare con un mercato che si restringe sempre di più a causa del rallentamento dei consumi e che si concentra soprattutto in favore dei grandi operatori digitali.

Il nostro Paese, infatti, sta attraversando un periodo complicato, caratterizzato da debolezze macroeconomiche. La fase espansiva che aveva preso avvio nella seconda metà del 2013 e che dal 2014 si era estesa alla domanda interna si è esaurita e da luglio dello scorso anno il Pil, l’occupazione e i principali indicatori di fiducia sono in flessione, una tendenza proseguita anche all’inizio del 2019. Secondo le stime del Centro Europa ricerche (Cer), lo scorso dicembre i consumi delle famiglie italiane erano al disotto dei livelli della fine del 2010 di ben 4,6 miliardi di euro, mentre quest’anno la situazione dovrebbe essere ancora più critica e la crescita non dovrebbe superare lo 0,4%.

In questo quadro economico piuttosto difficile, i consumi tradizionali e quelli digitali sembrano muoversi in mondi opposti: nel 2018 i primi hanno evidenziato un forte rallentamento, mentre i secondi, al contrario, hanno fatto registrare il massimo incremento storico con dinamiche mediamente superiori a quelle europee. Nel corso del 2018, infatti, secondo i dati elaborati dal Politecnico di Milano, se la spesa complessiva delle famiglie ha segnato un incremento dell’1,7% rispetto all’anno precedente, le vendite online hanno avuto un passo decisamente più dinamico facendo registrare un aumento del 16%. Nel dettaglio, la spesa online degli italiani è stata molto vivace nei beni (+25% rispetto al +1,7% dei consumi complessivi) e un po’ meno nei servizi (+6% contro il +1,6% delle vendite totali).

Anche i settori in cui il franchising è più diffuso hanno visto crescere le vendite online in maniera importante, come nella ristorazione e nell’abbigliamento che hanno messo a segno incrementi rispettivamente del +34% e del +20%. Da sottolineare, inoltre, il +53% di aumento evidenziato dai prodotti della casa, comparto in cui l’affiliazione commerciale pesa per appena il 5%, quindi è facile prevedere margini di crescita notevoli. Se si considera, poi, che la maggior parte delle reti in franchising oltre al punto vendita tradizionale ha anche una piattaforma e-commerce, puntare sull’innovazione digitale rappresenta un obbligo per tutti coloro che desiderano diventare imprenditori affiliati sia nel commercio sia nei servizi.

Un imperativo che vale soprattutto per un settore come il franchising che negli ultimi anni ha mostrato una interessante propensione all’internazionalizzazione, anche se, ancora una volta, con ampi margini di crescita. I marchi stranieri dell’affiliazione commerciale in Italia, infatti, superano le cento unità, mentre le reti italiane operative all’estero sono circa 200, pari a poco meno di un quinto delle insegne esistenti e con una crescita di circa il 9% rispetto a cinque anni fa. A fronte di queste attività già operative al di fuori dei nostri confini, poi, figura un altro 35% di franchisor che si dichiara interessato ad affacciarsi alle opportunità offerte dai mercati esteri, ma nello stesso tempo palesa la necessità di usufruire di importanti servizi per realizzare tale desiderio di cui al momento non dispone, come partnership con istituti di credito in loco, analisi strategiche preventive e studi di fattibilità di prodotti e servizi.

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