Sull’ammodernamento della rete distributiva di benzina, gasolio e gas per autotrazione incidono anche le problematiche di bonifica dei punti di vendita dismessi.
La rete italiana della distribuzione di carburanti è da diversi anni in una fase di modernizzazione, il cui pieno compimento, però, è ancora piuttosto lontano dall’essere raggiunto. Uno degli aspetti più critici di questo processo in lenta evoluzione è la razionalizzazione dei punti vendita, insieme al risanamento delle aree contaminate dalle attività legate all’erogazione di benzina, gasolio e gas.
Nell’ultimo decennio, il numero di punti vendita – secondo i dati elaborati da Unione Petrolifera – si è ridotto marginalmente (-6,7%), passando da 22.500 nel 2007 a 21.000 nel 2018. Restiamo, perciò, di gran lunga il Paese con più stazioni di rifornimento in Europa, seguiti a notevole distanza da Germania (14.500), Spagna (11.600), Francia (11.100) e Regno Unito (8.400). Una rete di distribuzione carburanti così numerosa e capillare come quella italiana negli anni ha impattato pesantemente sul territorio in termini di inquinamento, soprattutto da idrocarburi. Il risanamento delle zone contaminate, perciò, è un aspetto di grande importanza, ma la gestione dei procedimenti ambientali per le bonifiche è piuttosto complessa. I siti da recuperare, infatti, sono ubicati nelle vicinanze del traffico veicolare, spesso in aree urbanizzate, anche in luoghi sensibili dal punto di vista architettonico e artistico, a volte gli interventi devono essere realizzati in stazioni di rifornimento ancora attive. Inoltre, diversi fattori possono influire sulla tempistica dei procedimenti di bonifica, come la destinazione urbanistica dell’area da risanare o i possibili stakeholder coinvolti, sia pubblici sia privati. E poi occorre considerare che la dislocazione dei punti vendita su tutto il territorio nazionale comporta il coinvolgimento delle amministrazioni locali, le cui competenze variano molto da regione a regione.
Per questi motivi, nell’ambito della disciplina delle bonifiche ambientali, le misure introdotte nella legislazione italiana nel corso degli ultimi anni sono state orientate a semplificare le procedure, a ottimizzare le risorse e a rendere gli interventi compatibili con le attività produttive. Il primo provvedimento teso a velocizzare e facilitare l’iter tecnico-amministrativo delle azioni di bonifica è stato il decreto ministeriale n. 471 del 25 ottobre 1999 che, però, non era specifico per i punti vendita della rete carburanti ed era basato su un approccio tabellare, cioè sull’individuazione dei valori di concentrazione limite accettabili per le sostanze inquinanti presenti nel terreno. Qualche anno più tardi, invece, il decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006, oltre a fare esplicito riferimento alle aree degli impianti di distribuzione dei carburanti, conferisce all’analisi di rischio un ruolo centrale nei procedimenti di bonifica, ponendo le basi per una gestione sito-specifica delle zone contaminate.
Il vero punto di svolta per la normativa sulle bonifiche ambientali per la rete carburanti è l’entrata in vigore del decreto ministeriale n. 31 del 12 febbraio 2015 dedicato specificatamente alla standardizzazione e alla semplificazione delle procedure per le operazioni di bonifica relative ai punti vendita. Le misure previste da questo provvedimento si applicano a tutti gli impianti di distribuzione, attivi e dismessi, di dimensioni inferiori ai 5.000 metri quadri, anche ubicati nei siti di interesse nazionale (Sin).
«Il decreto 31/2015 è stato molto importante per il nostro settore – spiega Donatella Giacopetti, responsabile ufficio salute, sicurezza e ambiente di Unione Petrolifera – perché ha standardizzato le procedure, adattandole alla rete di distribuzione carburanti, consentendo di avere tempi certi per l’effettuazione degli interventi di risanamento. Inoltre, ha specificato i limiti da rispettare per i contaminanti tipici dell’attività di vendita di carburanti, che nella norma generale non sono presenti, risolvendo quindi un altro elemento di incertezza. Infine, ha adattato i criteri di analisi di rischio per un impianto dalle dimensioni piuttosto ridotte come può essere una stazione di servizio, mentre prima erano pensati per siti da bonificare di grandi dimensioni. In sostanza, ha fornito certezze sia nelle procedure amministrative sia nelle attività di caratterizzazione e di valutazione dei rischi, rendendo l’obiettivo di bonifica più realistico e quindi più fattibile».
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